C’è una scena che si ripete in tante case. Un bambino seduto alla scrivania, lo sguardo smarrito davanti a un quaderno. E dietro di lui, un genitore che si agita: suggerisce, corregge, talvolta si sostituisce. È la battaglia quotidiana dei compiti a casa, che spesso trasforma un momento educativo in un terreno di frustrazione, ansia e conflitti. Ma se ci fermassimo un attimo? Se provassimo a guardare i compiti non come un dovere sterile, ma come un allenamento alla vita?
La vera domanda non è “sono troppi o troppo pochi?”, ma a cosa servono davvero i compiti? Se li vediamo solo come uno strumento per portare un bel voto a casa, perdiamo di vista la lezione più importante: i compiti sono un’occasione unica per allenare l’autonomia, la resilienza e, soprattutto, il coraggio di sbagliare.
Viviamo in un tempo che idolatra la perfezione. I nostri figli crescono bombardati da immagini di vite impeccabili, corpi perfetti e successi immediati. Eppure, la vita vera è fatta di errori, di tentativi falliti, di inciampi. Le neuroscienze ci insegnano che il cervello impara proprio attraverso l’errore: ogni volta che qualcosa va storto, i circuiti neurali si riorganizzano, cercando una soluzione diversa. È così che si sviluppano le competenze cognitive, ma anche quelle emotive: la capacità di gestire la frustrazione, di tollerare l’incertezza, di ritentare.
Ma per imparare a sbagliare, c’è bisogno di spazio. E qui entriamo in gioco noi genitori. Quando ci sediamo accanto ai nostri figli e correggiamo ogni errore, non stiamo aiutando: stiamo sottraendo loro il diritto di imparare.
I compiti, nel loro significato più profondo, non sono un esercizio meccanico. Sono una palestra di resilienza. Ogni volta che un bambino affronta un problema di matematica che non capisce o un testo che non sa come iniziare, sta allenando una qualità che gli servirà per tutta la vita: la capacità di resistere. Di rimanere lì, anche quando vorrebbe scappare. Di provare, anche quando sembra tutto inutile.
Non si tratta di un processo immediato. Come un muscolo, la resilienza si sviluppa poco a poco, con un allenamento costante. È per questo che i compiti non possono essere evitati o delegati. Sono uno strumento per insegnare ai nostri figli che la fatica non è un nemico, ma un passaggio necessario per crescere.
Il mondo in cui viviamo esalta la velocità e la gratificazione immediata. Basta un clic per ottenere una risposta, un acquisto, un like. Ma la vera conoscenza non si ottiene con un clic. Richiede tempo, dedizione e fatica. È un processo lento, a volte frustrante, che però lascia un segno duraturo.
I compiti insegnano ai ragazzi che non tutto si ottiene subito. Che per risolvere un problema bisogna prima riflettere, sbagliare, riprovare. È un antidoto prezioso contro il depotenziamento cognitivo, quella tendenza a cercare sempre la strada più facile, a evitare lo sforzo. E questo antidoto è più necessario che mai, in un’epoca in cui tanti giovani si sentono incapaci di affrontare le sfide più banali della quotidianità.
Il nostro compito, come genitori, non è risolvere i problemi al posto dei figli. È creare le condizioni perché possano affrontarli da soli. Questo significa offrire loro uno spazio adeguato, un tempo scandito, una parola di incoraggiamento. Ma anche sapere quando fare un passo indietro.
Non è facile. Guardare un figlio che fatica senza intervenire richiede un atto di fiducia. Ma è proprio in quel momento che gli stiamo insegnando qualcosa di inestimabile: la consapevolezza di poter contare sulle proprie risorse.
Molti genitori vedono i compiti come una lotta contro la scuola. Ma la scuola non è un nemico: è un alleato. Certo, ci sono cose che vanno migliorate. Una didattica più attiva, spazi adeguati per lo studio, tempi scolastici che integrino l’apprendimento con le pause. Ma non possiamo delegare tutto alla scuola. L’educazione è un processo condiviso, che richiede la collaborazione tra insegnanti, genitori e studenti.
I compiti non sono perfetti. A volte sono troppi, altre volte mal calibrati. Ma non è questo il punto. Il punto è che, attraverso i compiti, possiamo insegnare ai nostri figli la lezione più importante: che non si cresce senza fatica, che il successo richiede impegno, che ogni errore è un passo avanti.
Se riusciremo a trasmettere questo messaggio, avremo fatto qualcosa di più grande che aiutarli a prendere un bel voto. Avremo aiutato i nostri figli a diventare adulti capaci di affrontare la vita con forza, fiducia e consapevolezza. E forse, tra vent’anni, quando si troveranno di fronte a un problema difficile, ricorderanno quel pomeriggio passato a fare i compiti. E capiranno che era molto più di un esercizio. Era un allenamento per il futuro.
E voi, cosa pensate? Come vivete i compiti a casa, come genitori o studenti? Forse la domanda più utile non è se siano giusti o sbagliati, ma come possiamo renderli uno strumento di crescita per tutti. Perché, in fondo, l’educazione non è mai solo un atto scolastico. È il compito più difficile, e più importante, che abbiamo come adulti.
Di Giuseppe Lavenia (Presidente Associazione Di.Te.)
Fonte: Orizzonte Scuola