“I dati sulla fragilità dei giovani non sono solo numeri, ma un grido di allarme che denuncia l’incapacità della società di prendersi cura delle nuove generazioni”.
Così Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Di.Te., commenta l’indagine della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza sul degrado giovanile. Secondo Lavenia, dipendenze da alcol, droghe, internet, cybersesso e gioco d’azzardo non sono la causa, ma il sintomo di un vuoto educativo, di adulti assenti che hanno abdicato al loro ruolo di guida.
“L’8% di adolescenti con disturbi neuropsichiatrici è un segnale di un malessere diffuso che non abbiamo saputo cogliere, se non quando esplode in forme di aggressività, violenza, bullismo o reati”, sottolinea Lavenia.
Il presidente di Di.Te. evidenzia come il bullismo, dilagante nella fascia 11-13 anni, età in cui i ragazzi necessitano di modelli solidi e risposte autentiche, trovi terreno fertile in una società in cui gli adulti sono spesso distratti o assenti. “Come possono i giovani imparare il valore del rispetto e delle relazioni se crescono in un contesto di solitudine digitale, silenzio emotivo e spazi urbani abbandonati?“, si interroga Lavenia.
Per il psicoterapeuta, il degrado sociale che alimenta queste dipendenze è il riflesso di famiglie in difficoltà, scuole lasciate sole e comunità frammentate. Non bastano interventi a livello scolastico o la riqualificazione delle periferie: è necessario un cambio di rotta da parte degli adulti, che devono tornare ad essere punti di riferimento.
“La vera sfida non sono i ragazzi persi, ma gli adulti incapaci di ascoltare e accompagnare i giovani nella crescita”, conclude Lavenia.
“Se i giovani sono allo sbando è perché li abbiamo lasciati soli, illudendoci che la loro capacità di navigare online fosse sinonimo di autonomia. Serve una rivoluzione educativa che recuperi il valore del limite e della presenza adulta. Non è troppo tardi, ma il tempo stringe: restare fermi significa condannarli a un futuro di silenzio e rabbia”.
Fonte: Orizzonte Scuola